Incontro Marcello nel suo studio-appartamento appena fuori le Mura, ogni stanza è piena di scaffali con rotoli di carta, libri sparsi, bozzetti di disegni giganteschi e tanto silenzio. Si respira creatività. In città lo conosciamo soprattutto per i disegni dei giga-insetti, ma ultimamente ha pubblicato un libro con la casa editrice La Nave di Teseo. Il termine “libro” è un po’ riduttivo, ma andiamo per gradi…
Marcello, mi racconti come è nata la tua carriera artistica? Hai sempre avuto questo amore per l’arte?
Sai, da bambino con la biro creavo brevi fumetti e giochi con personaggi inventati, li leggeva solo mia sorella e ci divertivamo così. La vera passione per l’arte è arrivata durante gli studi universitari… di Ingegneria. Visitavo mostre e musei, che sono stati la mia vera scuola, e dipingevo con i colori a olio mentre studiavo analisi matematica e fisica. Da autodidatta vedevo che nella pittura me la cavavo abbastanza bene, ho quindi proseguito perché mi appassionava. Ho iniziato a esporre, il mio stile si avvicinava al surrealismo e alla metafisica, ma ancora non riuscivo a renderlo personale. A partire dal 2008, grazie ad un corso mi sono confrontato con artisti miei coetanei, ho modificato radicalmente la tecnica dedicandomi quasi esclusivamente alla penna biro e realizzando le prime gigantografie di insetti, poi esposte in diverse sedi grazie a Maria Livia Brunelli, gallerista e curatrice.
Il tuo tratto di disegno è sottilissimo e iper-definito, mi ricorda molto i tatuaggi Fineline per la loro chiarezza. Secondo te come mai ti trovi così a tuo agio con questo stile?
Il mio modo di lavorare è orientato verso una grande precisione, con penne o pennini ancora più sottili mi trovo inevitabilmente a mio agio. Non sono mai stato un “gestuale”, anche se ogni tanto mi verrebbe voglia di creare opere più informali, meno curate nei dettagli, ma alla fine è difficile allontanarsi dalla propria natura. Forse anche la mia formazione come ingegnere influisce sul mio modo di fare arte. La mia scrivania però è un caos totale, perché sono molto rigoroso nel disegno e assolutamente caotico in molte altre cose!
Ho letto il tuo nuovo libro Sindrome del Pallone sul “morbo calcistico”, come lo chiami tu. Immagini e testi sono sarcastici e sagaci, ammetto che più di una volta ho riso tra me e me. Quanto tempo ha impiegato la sua creazione?
A inizio 2019 ho realizzato quasi casualmente le prime pagine, volevo solo scrivere e illustrare un pamphlet su un argomento popolare e ho scelto il calcio in quanto ogni giorno siamo bombardati di notizie sul tema. Ho immaginato che la passione del calcio fosse generata da un bacillo e da lì è iniziato tutto. Nell’ottobre 2019, con la proposta de “La Nave di Teseo” di trasformare questo libercolo in qualcosa di più strutturato, ho incominciato lo sviluppo delle ulteriori pagine, terminando disegni e testo nel marzo 2020, proprio quando è iniziata la pandemia. I disegni in realtà non sono a bic ma creati con pennini a china più fini. Ogni giorno realizzavo approssimativamente una pagina.
Ma tu ami il calcio come sport e non apprezzi come viene vissuto dalla maggioranza, oppure invece non ti piace per niente e hai voluto studiare un fenomeno che osservi dall’esterno? Dal libro è chiaro che per te la tifoseria calcistica è ironicamente assimilabile a un virus patogeno che contagia già in giovane età.
Credo che il calcio come gioco sia divertente, esattamente come tanti altri sport. Non mi piace invece l’eccesso mediatico ed economico, oltre a quello comportamentale delle tifoserie più violente. Questo vale certamente per qualsiasi sport che può contemplare queste caratteristiche, ma a ben pensarci non mi sembra che ci siano altri sport paragonabili in questo senso al calcio, in cui si concentrano comportamenti e credenze davvero eccessivi.
La parola “sindrome” implica lo stato patologico di chi ne soffre: vivere la tifoseria come una malattia, che innesca e nutre un circolo di ignoranza e quindi di violenza. Ma poi perché il calcio tira fuori i lati più beceri di una persona?
Sono stato allo stadio per toccare con mano e verificare questi aspetti e in effetti ho assistito a scene di assoluta violenza, per fortuna solo verbale, tra persone all’apparenza rispettabilissime, improvvisamente trasformate quasi in belve. Parlano di tifo rispettoso e io credevo fosse così, ma ho dovuto ricredermi: signori che si offendevano per interpretazioni diverse dell’azione di gioco (solo per citare la situazione più soft…) fino a ingiurie e bestemmie all’arbitro… Non so perché si arrivi a tali atteggiamenti e anche fare ipotesi risulta azzardato, non vorrei mancare di rispetto a questi signori…
L’edizione del volume è molto curata: la carta e il suo colore, l’inchiostro, la copertina rigida, la sua dimensione… è un libro da leggere e da collezionare, come un pezzo prezioso. I tuoi disegni mi hanno ricordato, per complessità, ricchezza di simbologia e per la loro apparente assurdità il Codex Seraphinianus. Ritieni che sia stato una fonte di ispirazione cosciente per te?
Direi di sì ma più che altro per quanto concerne un certo modello di libro d’arte, mentre per quanto riguarda la trattazione dei contenuti ho trovato spunto nei codici di Leonardo e nei miei testi universitari, oltre a qualche altro codice antico di storia naturale. Volevo comunque dare un senso ai miei disegni, mentre il Codex di Serafini ha al suo interno una lingua assolutamente senza significato, come lui stesso ha dichiarato.
I disegni sono ipnotici, ognuno è ricco di dettagli e ombreggiature. Noto un sottotesto di inquietudine neanche troppo nascosto che mi attira molto, come progetti uno dei tuoi disegni?
Le idee nascono spesso come flash improvvisi, come se vedessi di botto la pagina già finita e non dovessi far altro che disegnarla. A monte ci sono letture o spunti ricavati altrove come radio, tv, oppure chiacchiere con amici. L’inquietudine mista ad un umorismo sarcastico e a tratti macabro è un tratto caratteristico delle mie opere, che forse in questo libro si è anche accentuato. Il testo, che è sulla stessa linea, anche se permeato di uno stile pseudoscientifico, è nato dopo i disegni perché in primis io mi sento disegnatore quindi la parte scritta, per quanto importante, la vedo come un corredo alle figure e non il contrario.
I tuoi lavori precedenti hanno gli insetti come protagonisti, è la loro fragilità che ti affascina?
Gli insetti sono sempre stati una mia passione. Sono fragili e allo stesso tempo hanno una grande adattabilità e vitalità che mi hanno sempre affascinato. Nel 2008 iniziai a dipingere insetti su fotografie, poi passai da quelle miniature a vere e proprie gigantografie per indagarli meglio. In seguito mi sono dedicato ad altre creature “fragili” che l’uomo uccide con noncuranza, ovvero pesci e maiali. Gli animali fanno parte del bagaglio illustrativo dei testi di ogni epoca, rappresentati sia scientificamente nei libri di storia naturale, sia come creature allegoriche nelle fiabe e nei romanzi in generale. Io non sono sfuggito a questa loro seduzione, anche se nelle ultime opere ho cercato di dedicarmi anche ad altri temi.
Come ultima domanda ti vorrei chiedere qual è il tuo rapporto con Ferrara?
Io amo Ferrara ma allo stesso tempo mi accorgo che la mia creatività è abbastanza indipendente dallo spazio che mi circonda. In ogni caso prediligo la tranquillità e trovo che Ferrara sia una città “giusta” per me. Probabilmente se mi spostassi in una città più grande ci sarebbe qualche vantaggio e mi abituerei presto a nuovi spazi, però non ho l’anima del viaggiatore, preferisco da sempre viaggiare con la mente.