Se puoi, clicca su questo link e ascoltalo durante la lettura https://www.youtube.com/watch?v=ucRZmqFxUaE
A te, lettore. C’è una differenza, a volte lieve a volte grave, tra quello che si scrive e quello che si dovrebbe scrivere. È un meccanismo involontario per lo più: racconti la realtà, ma la racconti con l’idea di cosa vuoi descrivere già in testa. Ad esempio, lettore: io dovrei raccontare di una serata, usiamo un termine giovane, esperienziale. Molte di queste sere, a Ferrara, sono animate da una luce diversa: è in corso Juke Joint, primo tentativo di ripopolare locali (pub, ristoranti, spazi aperti) con dei concerti dal vivo.
Sessanta concerti in dodici giornate di musica nel mezzo della settimana, sull’onda, questa è la storia del nome, della volontà di riportare piccoli eventi musicali in piccoli luoghi, come nei juke joint, appunto, locali del profondo sud americano di qualche decennio fa, dove le comunità di colore si ritrovavano per suonare, ballare, bere in compagnia.
Questo dovrei raccontarti io. Di una sera, zaino in spalla, reflex al collo, calendario sul telefono salvato per cercare di coprire almeno tre eventi di una serata in locali avvolti da buona musica. Degli sguardi, dei visi del pubblico, dovrei caricare foto emozionanti e possibilmente quasi iconiche, perché siamo nel 2019 e tutto è filtrato, definito, reso così incredibile da essere poi uniforme al resto.
E in fondo potrei. Se non fosse stato, mio caro lettore, per una vetrata trasparente. Ma ci arriviamo. Vivila con me, sentila con me.
Era partita bene la serata. Non facile da capire la porta di accesso al locale, allo stesso tempo lampante per chiarezza l’esibizione dei Tudantram, secondo il programma un trio fondato da Flavio Piscopo e Lele Barbieri, che si muovono verso un jazz sporcato da pulsazioni ritmiche che evocano l’Africa profonda, anzi a ripensarci, quella costiera, contaminata dall’Europa eppure chiara nei suoi suoni, nei profumi. Nelle luci soffuse delle Corti del Maxxim, in via Ripagrande, splendido e poco illuminato, almeno questa sera, c’è la piccola magia di un concerto che evoca un altro mondo. Il pubblico non è poco, non è silente, è felice, si mantiene attento ed applaude con un certo fragore.
Tanto è difficile integrarsi nella vita comune quanto è facile mischiarsi, unirsi, contaminarsi nella musica e nella fruizione della stessa: orecchie aperte, occhi chiusi, siamo un popolo solo, si batte il piede, si osservano i suoni uscire dai tamburi, l’atmosfera rilassata di quel jazz così difficile da capire, così facile a cui abbandonarsi.
Poi tutto ha virato in basso, non per un motivo musicale ma semplicemente organizzativo. La mia scelta era ricaduta sul Club Weizen, ore 21, per ascoltare la band Lost Weekend. Gente brava, che suona bene, sulla scena da parecchi anni e che si muove su suoni più americani, si nutre di cover e ci mette i propri inediti.
Solo un problema: non li ho visti esibirsi. Li ho attesi, ma le ore ventuno del programma (non è una critica, una banale constatazione di abitudini radicate) non erano ancora tali alle ventuno e trenta. Difficile così inseguire a ruota (era la nostra idea) un terzo live nella stessa serata quindi eccoci a provare di variare programma: magari torniamo, intanto andiamo di corsa allo storico pub Shannon di via Bologna.
Dall’Africa, al rock americano, al Brasile. Allo Shannon il live è iniziato, intanto, questo si. Ci sarà Daniella Firpo, in duo con Roberto Poltronieri, ad ammaliare il pubblico con suoni latini, una voce calda, una presenza raffinata e d’impatto.
Solo che, caro il mio lettore, l’istante in cui la mia serata ha preso una strada sbagliata è l’istante in cui sono passato davanti ad una vetrata trasparente, quella subito sopra il Cafè Vienna, poco distante dallo Shannon. Al piano di sopra del locale stanno suonando i Lua Nova Trio. Io, dei Lua Nova Trio, non ho sentito niente, nessuna nota. Mentre finivano il loro concerto (non lo potevo sapere) ero allo Shannon, quando ci sono tornato, spinto da piedi invisibili, avevano appena finito.
Non erano nemmeno nella programmazione di Juke Joint. Ma da quella vetrata dove ero passato, avevo visto, per un istante durato forse due o tre minuti, l’immagine della solarità. Abbiamo visto ballare.
Forse due, forse più persone vicine alla band che suona, intente a danzare, nella nostra istantanea una ragazza che dava le spalle alla band (ed era quindi di fronte al pubblico), una cantante sorridente persa nelle vocalità del Sud America a cui la band deve il suono, i due musicisti a seguire una performance immersiva, libera da ogni vincolo. Un’immagine che ha spento il resto.
Certo, è assurdo dire che in questa serata lo spirito di Juke Joint, di quei luoghi dell’America sperduta, profonda ed emarginata, era proprio in quel locale fuori programma. Non facevano parte dell’evento, ma erano felici ugualmente. Ballavano, festeggiavano. Hanno trasmesso tutto questo senza una nota, ci abbiamo parlato soltanto dopo. Glielo abbiamo raccontato di Juke Joint, e di questo articolo.
Ora lo racconto a te.
Per saperne di più sulle prossime serate musicali di Juke Joint: https://jukejoint.it/
Le band di cui abbiamo parlato si ascoltano da qui:
Lost Weekend – https://www.facebook.com/lostweekendtheband
Daniella Firpo – https://daniellafirpo.wixsite.com/daniellafirpo
Lua Nova Trio – https://www.facebook.com/luanovatrio